...non posso ancora esprimere nulla a riguardo...
quando sarò lì scriverò il mio diario...
per ora mi riporto una testimonianza che mi ha proposto una mia amica.
l'ho letta ad alta voce davanti a lei e a mia madre...
...e non nego che la mia voce a tratti tremava...
Ci sono momenti nella vita in cui sentiamo di essere nel posto giusto, nel momento giusto; situazioni, luoghi e persone che sembrano incastrarsi, a poco a poco, in modo perfetto, e che con la loro mescolanza ci danno una piccola ma chiara percezione di una dolce e completa armonia, nella quale il sentirsi partecipi riesce a donarci la serenità che troppe volte ricerchiamo e rincorriamo vanamente.
Io ero lì, su un cammino battuto da secoli di storia e di preghiera, cosparso di lacrime e di gioia da chissà quanti milioni di persone, che con la loro fatica regalano al pellegrino di oggi l’intensità di ogni singolo passo, come un vortice che inevitabilmente porta alle radici di tutto.
Si può viaggiare sulla strada di Santiago per mille ragioni diverse, ma quella strada penso sia solo un pretesto per arrivare a noi stessi; bastano pochi giorni per capire che la meta in realtà è il Cammino stesso; ma questo è un concetto che fa parte di quelle cose che puoi anche capire, ma solo nel momento in cui le vivi te le senti dentro con tutta la verità che sembra impossibile essere racchiusa in un semplice giro di parole.
Per cui non credo che vi racconterò di com’è andata, delle città che ho attraversato, delle amicizie e delle avventure che si sono susseguite lungo la strada. Preferisco l’ardua, e scrivo ardua due volte per sottolineare il fatto che non credo di esserne in grado, via del Cammino in se stesso, di uno squarcio delle grandi lezioni di vita che mi sono state regalate, di quello che può rappresentare per la nostra vita un’esperienza come questa.
Sono partita da Saint Jean Pied de Port, paesino francese a ridosso dei Pirenei, punto più comune di partenza della più comune strada (la Vie Francaise) per arrivare a Santiago, con la testa un po’ preoccupata, il cuore emozionato e lo zaino troppo pieno di inutili cianfrusaglie, a compiere un pellegrinaggio alla tomba di San Giacomo Apostolo (io, che tanto-tanto in Chiesa non ci sono mai andata) di 800 Km a piedi (sempre io, che di Cima XII ho visto solo le foto).
Questo perché sono fermamente convinta che i desideri ancorati a noi stessi abbiano sempre una spiegazione, e che la vita non sarebbe un mistero se ci fosse dato di capirli subito, per cui a volte è necessario avere il coraggio e l’apparente incoscienza di assecondarli.
Dopo un paio di tappe avevo subito capito che avevo lo zaino troppo pesante e l’animo troppo leggero. Ci sono voluti due pacchi per spedire a casa “l’utile ma assolutamente non necessario”, e quanto è stato bello capire di quante cose si può fare tranquillamente a meno! Gesù aveva detto ai suoi Apostoli di prendere solo la bisaccia, e questo per noi del XX secolo sembra remoto e quasi fiabesco, soprattutto pensando ai nostri pratici zaini pieni di cose piccole e leggere perché è la legge del mercato dell’ultima generazione. Però prima di partire avrei dovuto considerare più questo: non stavo partendo per un tour di trekking o per qualche scalata sul Monte Bianco di turno. No: stavo partendo per la Via Jacopea, Cammino di Fede dove il rapporto con la provvidenza dovrebbe essere di fusione totale. Tutto quello che Lui ha detto ai Dodici lo ha detto per tutti quelli che lo vogliono seguire, e se tu parti e Lui ti dice di prendere solo la bisaccia, vuol dire che a tutto il resto ci penserà Lui; noi però facciamo sempre più fatica a fidarci il tutto per tutto alla Sua Parola, e finiamo per cercare nel Vangelo le metafore anche quando non ci sono… ma la grandezza di capire che lo si potrebbe veramente fare, la consapevolezza che in qualunque momento io abbia avuto veramente bisogno di qualcosa, io l’abbia trovata, ha restituito per quei momenti la grande speranza e l’umiltà di cuore di dire con gioia e convinzione “Padre, sia fatta la tua volontà”.
Quanto alla leggerezza di spirito, la scelta è stata quella di camminare da sola, di lasciare che l’incontro con gli amici del Cammino resti intorno alla tavola imbandita da sonore risate, e alle chiacchierate notturne con il vicino di sacco a pelo. La strada per me doveva restare cammino e ricerca.
Una delle cose a cui non siamo più abituati è la lentezza dello scorrere del tempo, troppo occupati tra orologi e telefonini: questa è una cosa che purtroppo non è più stampata sul DNA occidentale. Qualcuno mi ha chiesto se non mi sono annoiata a camminare per 7/8 h. al giorno da sola, io che l’ho fatto mi permetto di far spuntare un mezzo sorriso beffardo nel dire il “no” della risposta, ma capisco la domanda.
Spazi interminabili e lunghi da percorrere, momenti di gioia e di fatica da condividere, necessità di usare la voce o te le devi continuamente schiarire da quanto sei stato in silenzio.
Per me è stato splendido.
Avere il tempo e la pace necessari per osservare tutto quello che ti circonda, assaporare l’odore, i suoni ed il colore dei prati, delle montagne, delle infinite distese di grano e di papaveri, degli animali, dei tuoi passi. Saper cogliere con gioia le più piccole cose, perché in quello stato possono veramente farti felice, un raggio di sole, un’insospettabile sfumatura d’azzurro dipinta sulle ali di una farfalla, il sorriso dei vecchi al bar che ti guardano passare o il saluto dei ciclisti che ti superano velocemente, l’incontro con una fonte quando la nuova sensazione della sete si fa forte, sentire lo stupore crescere nel cuore e tenere sempre gli occhi aperti per vedere la bellezza.
Avere il tempo per ricostruire una vita, per fare un bilancio, per cercare le risposte e le spiegazioni che già abbiamo dentro, perché la storia dell’Alchimista è una delle più vere del mondo. Vivere la lentezza e la semplicità dei giorni, senza le grandi pretese, le grandi aspettative, senza tutte le cose ingombranti e vistose a cui ai nostri giorni siamo abituati; ma questo non lo si può spiegare, finirei nella trappola dell’ingombrante e vistoso…
E piano, piano, giorno dopo giorno, con la fatica necessaria per guadagnarsi le cose che contano veramente, un giorno arrivi a Santiago.
Per l’ultima notte avevo fatto bene i conti di arrivare prima del tramonto sopra il Monte del Gozo, collina dalla cui cima si preannunciano allo sguardo i maestosi pinnacoli della Cattedrale, meta del mio viaggio. Fa parte di uno degli incalcolabili riti dei pellegrini da sempre. Il monte del Gozo infatti rappresenta la Gioia (Gozo) di vedere all’alba, prima di partire per gli ultimi e veloci 5 Km, quello che ti troverai davanti; per la prima volta vedere all’orizzonte la meta che da un mese rincorri.
Ho dormito sola e all’aperto, ricercando fuori dalla confusione e dall’euforia dell’ultima notte le mie motivazioni, le domande fatte prima e durante il viaggio, la quantità e la diversità delle emozioni provate, un mettere un po’ insieme tutto quello che è successo in un mese, prima di ritrovarmi lì. Sono partita prima del sorgere del sole; nel percorrere quella breve distanza sentivo i miei passi lunghi e rapidi come quelli di Fernandel, pieni della paure e della serenità di essere arrivati.
Quando mi sono ritrovata davanti alla Cattedrale erano le sei, la piazza vuota, gli altri pellegrini lontani, la città che ancora dorme. Tolgo lo zaino, poso il bordone e mi inginocchio davanti a quell’imponenza e a quella suggestione che hanno solo le cose ubriache di fede e di storia.
E ho pianto.
Ma non un pianto di commozione o di stress represso; no, uno splendido e raro pianto di gioia, una sensazione di accoglienza che forse non mi sarà più dato di provare in vita.
Grazie Giacomo, grazie di avermi fatto arrivare.
Grazie per la pienezza di cuore, per la presenza di spirito, per gli incontri misteriosi del Cammino.
Grazie di avermi chiamato e di aver condotto i miei sandali fin qui.
E poi, con il timore di chi sta fuori di casa per un bel po’ di tempo, sono entrata ad accarezzare con la mia mano la mitica colonna del “Portico della Gloria”. Quante volte mi sono chiesta cosa avrei provato nell’appoggiare il mio palmo nel solco fatto da migliaia di altre mani che con lo stesso stato d’animo hanno compiuto questo rituale nei secoli.
Quante poche volte mi è capitato di bramare così tanto un momento. Ed ero lì, e per l’attesa e per la fatica di arrivarci, avevo paura.
Poi si è susseguito il caos delle cose che devi fare quando arrivi da turista in una città, normali prassi che per chi è stato un mese fuori dal tempo stordisce e frastuona; ma è il ritorno alla vita di sempre.
E dopo la gioia di riabbracciare chi è già arrivato e di aspettare gli amici che sono ancora per strada, volano i pochi giorni prima della partenza. I vecchi pellegrini dovevano anche tornare a casa a piedi, e c’è qualche temerario che ancora lo fa, per gli altri bastano 3 ore d’aereo.
Ma un’altra grande sorpresa era a casa ad aspettarmi: chi se l’aspettava che la mia famiglia avesse vissuto con così tanta partecipazione il mio Cammino? Palloncini e cartelloni di bentornata, i libri letti per seguirmi lungo la strada e la cartina punzecchiata da bandierine quante le mie tappe.
Un’altra grande onda di forza è data da chi cammina al tuo fianco.
E quanta gioia nel sapere che anche loro hanno camminato con me!
2 commenti:
x Elena
Spero non ti dispiaccia che ho inserito la tua testimonianza sul mio blog....
no...è che la tua voce che tremava mi stava facendo scendere una lacrima...grazie!
sembra impossibile ma oggi sembra che tutto quello che faccio e che incontro voglia farmi tornare con la memoria a santiago, mi chiedo il perchè... questo non è caso!
scusa le divagazioni!
ti auguro un buon cammino mariagrazia, che ti porti dove vuoi andare...fallo col cuore e lascia spazio alla strada...e dillo a tutti...così tra qualche anno anche tu troverai queste inaspettate sorprese che ti fanno ricordare che il cammino che si è cominciato....non si può finirlo davanti alla cattedrale, ma va portato giorno per giorno nella propria vita!
grazie per aver fatto questo per me oggi!
ULTREYA!
Elena
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